C’è un bellissimo poema di Giovanni della Croce, mistico spagnolo del XVI secolo, che racconta il travagliato viaggio che deve compiere l’anima per ricongiungersi a Dio (ma noi che siamo pagani preferiamo pensare che Dio sia quel punto misterioso e sensibile in cui siamo autenticamente noi stessi); si tratta de L’oscura notte dell’anima e comincia così: 

In una notte oscura,
con ansie, dal mio amor tutta infiammata, oh, sorte fortunata!,
uscii, né fui notata,
stando la mia casa al sonno abbandonata

Sempre Giovanni della Croce, scrisse “Dio umilia grandemente l’anima per innalzarla poi molto” (e anche qui Dio è sempre quel punto misterioso nascosto in noi stessi ecc… ecc…) 

Il romanzo di Roan Johnson, Dovessi ritrovarmi in una selva oscura (Mondadori, 18,50€), racconta in termini moderni e pagani ciò che Giovanni della Croce aveva scritto nel suo poema, ovvero il viaggio che il protagonista (che è Roan in persona) compie dentro di sé affrontando paure, ansie, terrori e grandi smatti. Tutto comincia una notte in cui Roan e la sua fidanzata stanno facendo l’amore, un po’ brilli, sul pavimento di casa. Poco prima del coito, nel momento di massimo godimento, lui avverte un dolore atroce alla nuca, come se un ferro arroventato lo trapassasse da parte a parte. Non è solo il dolore fortissimo a innescare i primi terrori, ma l’idea che dietro a quel dolore possa nascondersi qualcosa di serio, di molto serio. Riprova a fare l’amore con la fidanzata,  si masturba per scopi puramente scientifici sperando che quel dolore sia per sempre andato, eppure tutte le volte che l’orgasmo sta per presentarsi, ecco il dolore più dolore di tutti. Comincia a pensare che forse dovrà dire per sempre addio al sesso, che per lui non sarà più possibile godere. E questo è solo l’inizio. 

«E l’ironia è tutta qui: a vent’anni avevo paura di vivere, adesso mi è venuta paura di morire.»

La paura di morire (o ammalarsi e quindi morire) non arriva quasi mai prima dei trent’anni. In termini astrologici, di solito l’inizio di tutti i terrori coincidono con il momento in cui Saturno transita sul Saturno di nascita, ovvero quando un ciclo è finito e sta per cominciarne uno nuovo e questo accade sempre, a tutti, fra i ventotto e i ventinove anni. È quella l’età terribile in cui ci accinge a essere qualcun altro, qualcuno che non conosciamo e che ci fa, giustamente, paura. Chi è quest’adulto seduto alla mia tavola? Per la prima volta si pensa alla morte e per la primissima volta la morte fa paura. Ma in tutte le paure c’è, sotto, ma veramente in basso, nell’abisso proprio, una forma di desiderio. Ed è per questa ragione che l’ansia è forse espressione prepotente e rabbiosa della depressione, più o meno latente, più o meno evidente. Se ho paura di morire forse un po’ lo voglio, ma se mi rendo conto di avere un po’ voglia di morire allora sto proprio male e quindi ho più paura di prima. 

Il romanzo di Roan Johnson è il libro che tutti gli over 30 dovrebbero leggere, perché non c’è terreno più fertile per la paura della solitudine, della non condivisione. La scrittura è guizzante, i toni quelli della commedia alta che l’autore ci ha abituati a vedere al cinema. Se, come diceva Giovanni della Croce, Dio umilia l’anima per poi innalzarla, possiamo dire che anche Roan ci riesce. Che sì, l’ansia è un topo che rosicchia il formaggio, ma alla fine anche con i buchi il formaggio è buono. 

 

 

 

 

 

 

 

Roan Johnson è nato a Londra nel 1975. Regista, sceneggiatore e scrittore ha realizzato, fra gli altri, i film “I primi della lista” , “Fino a qui tutto bene” e l’ultimo “Piuma”. Ha scritto un altro romanzo  “Prove di felicità a Roma Est”  pubblicato nel 2010 da Einaudi. Vive a Roma. 

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