Uno scacchetto di cioccolato. È la mia frase della vergogna. La nutrizionista mi ha chiesto di scrivere un diario alimentare, ed è quello che sto facendo. Dopo ogni pasto, dopo gli 80 gr. di fusilli integrali o la fetta di pane wasa integrale e la fettina di pollo biologico con insalata mista, c’è sempre lui, lo scacchetto di cioccolato al 90%, scioglievolissmo e il vero conforto di questi tempi fatti di privazioni e punizioni. Come se il mondo non fosse già un posto poco ospitale, in casa abbiamo deciso di rinunciare allo zucchero, all’alcol e al pane intinto nel sugo. Come le migliori storie d’amore, anche questa dieta comincia bene, con grande rispetto, grande voglia di arrivare fino in fondo; ma poi qualcosa si crepa, la volontà cede, il bisogno di restare coerente diventa sempre meno urgente ed ecco il cioccolato, il biscotto integrale senza zucchero, qualche sorso, di nascosto, al succo di frutta alla pesca di mio figlio, e due spuntini invece di uno. Non sarebbe abbastanza un sacrificio, però, senza l’attività sportiva e data la temporanea chiusura delle palestre siamo costretti a cavarcela a casa, con quelli che ormai si ostinano tutti a chiamare workout, quando fino a ieri si chiamavano esercizi o allenamento. Sono una ragazza fuori moda, faccio perciò gli esercizi e al posto dei leggings indosso i fuseaux e mi faccio consigliare da C. (che si allena da sempre con risultati visibilissimi grazie al suo corpo snello, nervoso, bellissimo) la migliore allenatrice su Youtube e lei mi manda qualche link di tale Cloe Ting, stupenda ragazza americana di origine asiatica che propone ai suoi milioni di utenti delle challenge in cui promette dimagrimento e rassodamento nel giro di un mese. In effetti, guardando alcuni video di utenti che hanno partecipato alla sfida, per loro ha funzionato; ci sono immagini del prima e del dopo davvero incoraggianti, pance prima un po’ mollicce che raggiungono una certa tensione, cuscinetti di grasso che si sciolgono alla stessa velocità di un panetto di burro sotto il sole di agosto. Succederà anche a me, penso mentre mi alleno sul tappeto persiano, davanti a finestre senza tende da cui i vicini spiano le mie goffaggini. Resisto, ubbidisco, sudo. È facile, dico, più facile a farsi che a dirsi. Poi, al terzo giorno, di punto in bianco, smetto. Anche se so che è facile, anche se so che trenta minuti al giorno non sono niente e che davvero vale la pena, io smetto. So di sbagliare, e smetto. So di continuare a ingrassare o di smettere di dimagrire, e smetto. 

“Hai finito tutta la cioccolata!” mi sento rimproverare dall’altra stanza. Il mio compagno, al contrario di me, non fa nessuno strappo alla regola. Io, piuttosto, negli ultimi tempi ho più strappi che regole. Ho un traguardo, un peso ideale non impossibile che potrei raggiungere in un mese, se non avessi mollato dieta e Cloe Ting, nonostante già al secondo giorno di allenamenti sentissi i muscoli delle gambe più tesi, sfrigolare gli addominali e la schiena compattarsi. Anche la fame che sentivo fra un pasto e l’altro e che ora viene placata dallo scacchetto di cioccolato, mi dava un certo piacere. Il sacrificio è decisamente passato di moda ed è tornato sotto i riflettori durante la pandemia, quando la maggior parte di noi si era dimenticato il suo significato o non lo aveva mai davvero conosciuto; abbiamo dovuto rinunciare agli amici e ai viaggi, qualcuno ha dovuto dire addio a persone care e altri si sono dimenticati il volto di parenti stretti che vivono in perenne zona rossa e forse è proprio per questo che rimaniamo attaccati ai pochi piaceri che sono rimasti e siamo indulgenti con il nostro corpo e non vogliamo rompere certi fragili equilibri. Eppure io questa pigrizia, questa incapacità di andare fino in fondo con il mio corpo, l’ho sempre avuta. Se scavo nel mio passato, fra le ragioni che mi hanno imposto una rinuncia improrogabile, trovo alibi bizzarri e perfetti, come quello che a otto anni mi fece mollare la ginnastica artistica perché mi resi conto che sui collant di una mia piccola amica del corso c’era del sangue e mi convinsi che viveva fra assassini, perciò era da evitare; o quello che mi ha fatto lasciare la danza moderna quando ho capito che l’insegnante non mi avrebbe fatto passare nella classe dei grandi perché pensava che avessi ancora sette anni e non tredici; e, ancora, quello che mi ha fatto dire addio allo yoga perché i pantaloni bianchi mi stanno malissimo e mi sento una gelataia. Ogni sport ha avuto la sua colpa e sono sicura che anche Cloe Ting ne abbia una, ma io non l’ho ancora trovata e in questa attesa di alibi mangio, ingrasso, sono felice. 

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