Chi riflette troppo sul proprio corpo, nel tempo che impiega a pensare a quello che il suo corpo fa, vive e produce, si dimentica spesso e volentieri di averlo, un corpo.

Se le cose stanno davvero come io credo, allora dovrebbe essere vietato liquidare l’erotismo così facilmente come fa Catherine Millet. Se la sensualità, e l’esibizione impudica di essa, riesce a creare così tanti disagi da preferire riflessioni al limite del trattato filosofico, allora bisognerebbe evitare di scrivere d’erotismo e dedicarsi alla pornografia, tra l’altro assai più divertente. L’erotismo, dopotutto, è una faccenda seria e Anaïs Nin, Saffo, Josephine Hart, Jaeggy Fleur e i suoi bellissimi, beati anni del castigo lo sanno bene, e ci hanno regalato le pagine erotiche più belle di tutta la letteratura. Ci sono gli uomini, decisamente più ludici, che collocano i loro personaggi sopra letti sgangherati in divertenti e pornissimi su e giù, roba che è assai difficile considerare erotica. E poi ci sono le donne come Catherine Millet o Elfriede Jelinek che freddamente, clinicamente, esplorano la sessualità come se si stessero occupando di ricette farmaceutiche.

La vita sessuale di Catherine M. mi aveva molto annoiato per questa ragione: avevo l’impressione che nella lucida reminescenza di ciò che il corpo della M. aveva vissuto e di cui aveva goduto, alla fine non rimanesse che una fredda percezione erotica del proprio corpo e del proprio sesso. Avevo il sospetto, tuttora covato, che le ragioni di quell’allontanarsi dalla carne per favorire le sinapsi dipendessero tanto da una naturale mancanza di spregiudicatezza quanto da un bisogno di dimostrare che oltre la vagina c’è anche un cervello.

Gelosia è un memoir, come il precedente libro della Millet, solo che stavolta l’autrice parigina ci mostra il lato oscuro della liberté sexuelle: la gelosia, appunto. Reduce da un lungo rapporto aperto con Claugelosia milletde, Catherine si innamora di Jacques, suo attuale compagno, ed è fra le sue cose che, un giorno, scopre la foto di una donna nuda. Da quel momento comincia a far battaglia alla sua gelosia, sentimento fino ad allora inesistente o forse solo debitamente ignorato o momentaneamente sopito. Scopre, per esempio, che fra gelosia e senso della perdita si insinua una strana forma d’eccitazione erotica, come una rabbia appuntita che si installa fra cuore e sterno e poi lì, proprio lì, in basso al ventre, appena prima delle cosce. Catherine Millet, da ottima pensatrice qual è, tenta di darsi delle risposte e scrivendo e pubblicando il suo memoir, probabilmente, cerca di aiutare chi come lei vive nella sua stessa condizione. La gelosia è, dopotutto, una paura che nei casi più eclatanti può persino sfociare nella fobia e quindi nella follia. Non è il caso di Catherine, naturalmente, stiamo pur sempre parlando di una donna francese sofisticata e colta, cresciuta con un’educazione borghese e vissuta in ambienti in cui l’esperienza del corpo è sempre stata associata ad un’esperienza intellettuale. Ma come tutte le paure, la gelosia non è gestibile, diventa furia irrazionale ed è quell’irrazionalità a stupirla di più, a renderla preda e predatrice insieme di se stessa.

Una donna che bazzica orge e che con estrema generosità si concede a più uomini, anche contemporaneamente, non riesce ad accettare la propria gelosia né le morbosità che potrebbero montarle dentro; per una donna pudica e riserva
ta la gelosia è un dato acquisito che non genera ansie ne’ rimorsi. Ben conscia della libertà e dei vantaggi che essa comporta, la donna libera o liberata non accetta di essere o divenire un animale territoriale e spesso, in uno slancio più egoistico che altruistico, impone ai suoi pensieri e alle sue emozioni di rilassarsi all’idea di un tradimento. Ma per quanta forza o rabbia possa adoperare per non rimanere invischiata nel suo stesso timore, non riuscirà mai a cacciare definitivamente l’odiato demone. L’esercizio è lungo e faticoso, e forse qualcuna riesce a raggiungere una pace erotica ben prima che sopraggiunga la pace dei sensi.

Ma chi l’ha detto che ad una certa libertà sessuale debba per forza corrispondere una libertà emotiva o sentimentale? Non è certo consequenziale che chi libera il proprio corpo tenda pure a liberare la propria mente. Catherine Millet ammette la sua sconfitta e lo fa in maniera umile ma non priva di (freddissima) passione.

Innegabile è che la signora sappia scrivere, anche se considero la buona scrittura quella che riesce a concedersi al lettore con cristallina verità, senza fronzoli o architetture particolari, la cui forza dipende non dalla quantità di sofisticati vocaboli incatenati gli uni agli altri, ma dall’intima emozione e dal meraviglioso stupore che l’autore riesce ad infondere alle sue parole.

Se la Millet deciderà di mettersi a scrivere così come ci fa intendere di saper far l’amore, allora la stima per lei e l’affetto saranno profondi ed eterni. Pensa che bello, Catherine, fare l’amore con le parole, donarle senza avarizia e con estrema fiducia. Generosità Catherine, generosità!

– Melissa

Posted in ArticoliTagged
Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenta