Un diario, si sa, non si comincia al quinto giorno dall’inizio di un evento, di un viaggio, di una storia d’amore. Ma l’idea mi è venuta il quinto giorno e non posso tornare indietro, pur volendolo. E’ anche il primo momento, da cinque giorni a questa parte, in cui riesco a sedermi, bere una tisana allo zenzero e cannella, mentre aspetto che il merluzzo si scongeli sotto l’acqua corrente.

La radio sta suonando una compilation che ho fatto a 16 anni. Un’ora fa ho messo ordine fra CD e vinili, infilato dentro un raccoglitore quelli senza custodia, rimesso ognuno nella propria originaria dimora. Li ho disposti in fila uno dietro l’altro come un esercito, con i nomi degli album e dell’artista a favore di chi, aprendo il cassetto, legge. Ora sono puliti e pettinati dentro il Principe Ranocchio, un bellissimo mobile che qualcuno aveva abbandonato vicino un cassonetto dalle parti di via Appia Nuova e che io, passeggiando con un amico, ho salvato da un tragico destino. Era marrone, decadente, e dentro i cassetti c’erano bucce di cipolle e aglio. Il mio amico non aveva la macchina quindi lo abbiamo caricato in spalla, io e lui, portato dentro la metropolitana, sotto gli sguardi allucinati degli altri passeggeri. Una volta a casa, l’ho battezzato Principe Ranocchio, perché si è trasformato, diventato un bellissimo ragazzo verde brillante.

(Un’ora dopo)

Il merluzzo ora sta friggendo insieme alle cipolle e cinque palline di ginepro sfumati con il vino bianco. Il CD è cambiato, ora ci sono gli U2.

Sto svuotando casa, tenendo solo (alcuni) mobili, le stoviglie e la biancheria, i libri e i DVD, le videocassette, la musica, pochissimi effetti personali. Libero cassetti, armadi, mensole. L’inutile lo butto, l’utile lo chiudo dentro gli scatoloni che trasporto in cantina. I mobili li regalo ad amici e sconosciuti, ma se sono amici meglio, così quando mi invitano posso salutare le mie vecchie cose. L’ingresso e il salone ora ospitano decine di sacchi neri, scatole, oggetti lasciati, oggetti appesi e incastrati, rovinati per terra. Sono otto anni che vivo in questo appartamento. E’ la casa in cui ho vissuto di più in tutta la mia vita. Quando ero piccola io e miei genitori traslocavamo ogni paio d’anni: per noia, perché non potevamo più permetterci una villa o perché cacciati dai fantasmi.

Negli anni ho accumulato di tutto. Oggetti bellissimi oppure solo divertenti, souvenir di luoghi e persone, oggetti lasciati come tracce di sé da fidanzati conviventi e amanti. Cose di altri. Cose che mi hanno regalato. Cose che ho rubato. Cose che ho tenuto e mai usato. In questa grande opera di pulizia ho ritrovato altre cose credute perse: il quaderno su cui a 9 anni ho scritto il mio primo romanzo, vecchie lettere d’amore (quando ancora si scrivevano a mano).

Faccio una stanza per volta. Già pronti e ripuliti lo studio, il bagno, la cucina. Ho spostato mobili, inchiodato, schiodato, dipinto muri, stuccato, avvitato, svitato, dipinto mobili, cambiato lampadine, risolto guasti elettrici, idraulici. Avevo chiesto a Chakri, il tuttofare di zona, di darmi una mano ma mi ha dato buca per tre giorni. E’ venuto ieri, con la sua borsa nera sporca di intonaco gonfia di cacciavite, chiavi inglesi, spatole. Gli ho chiesto di aggiustare due finestre e la maniglia di una porta, mentre io in corridoio dipingevo di azzurro la cornice di uno specchio ex marrone. Mentre ero seduta a gambe incrociate, dipingendo molto accuratamente, Chakri ha espresso il suo disappunto per il colore. E anche tutta quella roba che butti o regali, un peccato davvero. E i chiodi non si mettono così, ma così, ha detto levandomi il martello dalle mani. E poi scusa, non puoi spostare quella sedia, non ce la fai.

-Chakri, perdonami, l’hai visto quell’enorme mobile azzurro in cucina? L’ho spostato io. E l’armadio bianco? Io. E i quadri alle pareti? Li ho inchiodati io. Guarda Chakri che so che vuoi essere gentile, però se una cosa non la so fare non la faccio. E se la faccio vuol dire che la so fare-

Mi guardava come gli uomini guardano le donne che “fanno cose da uomini”: con tenerezza, come se mi avesse aspettato alla soglia del suo mondo di ferramenta e mi avesse detto “Entra, fatti un giro, ma dopo esci perché questa è zona mia”.

Mi sono molto innervosita. Ma gli voglio anche bene, quindi gli ho fatto un caffè e spiegato che la forza di volontà muove le montagne, quindi anche i mobili.

Stamattina sono uscita per comprare i croccantini ai gatti, prendere dei sottovasi. Sono rientrata e uscita di nuovo, di corsa, per andare a una riunione. Mentre attraversavo la piazza ho avuto un presentimento: ho infilato la mano in borsa e tirato fuori un mazzo di chiavi che non è lo stesso con cui apro la porta. Quello giusto l’avevo lasciato dentro, sopra la mensola all’ingresso.

Telefono a Chakri -Ho dimenticato le chiavi dentro casa-

Lui ride. Mi innervosisco di nuovo perché so cosa sta pensando, cioè che sono una ragazza distratta. E invece sono solo una ragazza stanca perché tutto quel muovere mobili e non mangiare mai mi scuote i muscoli che si annodano attorno le ossa e la notte, anche se distrutta, non riesco a dormire. La mattina faccio riunioni, rispondo alle e-mail e alle telefonate di lavoro. Il pomeriggio e la sera ristrutturo, svuoto cassetti.

-Chakri, NON ho dimenticato le chiavi. Ho solo preso il mazzo sbagliato-

-Quanto sei simpatica, quanto sei-

-Grazie Chakri, grazie. Guarda Chakri, questa porta è pesantissima, gli altri fabbri ci mettono ore ad aprirla!-

-Ah, allora hai dimenticato le chiavi anche altre volte-

-Sì ma oggi non le ho dimenticate, ho solo preso quelle sbagliate-

-Non ti preoccupare, io la apro subito. Mica so’ come quelli là-

Ha aperto la porta in mezzora ed è andato via sfoggiando un largo sorriso, i denti gialli, due d’argento, uno saltato via, scoprendo la gengiva.

 

 

 

 

 

 

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0 thoughts on “Diario di una ristrutturazione/giorno 5 Commenti

Ho traslocato un anno e mezzo fa, non era la prima volta, ma adesso ho più anni… mi sono ritrovata nelle tue descrizioni. Si impara qualcosa da ogni trasloco. tu hai imparato che avere la porta con lo scrocco è una stupidata, io questa cosa non l’ho imparata da un trasloco: l’ho imparata tanti anni fa, una mattina in cui ho accompagnato all’ascensore chi mi aveva fatto compagnia la notte precedente, lasciando la porta aperta e senza prendere le chiavi. In Liguria c’è spesso il vento, anche nelle belle giornate di sole, così la porta è sbattuta. Normale! …meno normale che una giovane donna con addosso lo slip di un bikini e una camicia da uomo si presentasse in un’agenzia immobiliare a chiedere all’amministratrice del condominio il duplicato delle sue chiavi…

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“Mi guardava (…)con tenerezza, come se mi avesse (…) detto “Entra, fatti un giro, ma dopo esci perché questa è zona mia”.”

Più o meno come ci guardate voi donne quando cuciniamo.A volte senza nemmeno la tenerezza.

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perché si ristruttura?
ad esempio a livello verbale si ristruttura per imparare un rapporto nuovo e magari più sano con alcune cose, per cambiare modo. Si può ristrutturare così anche una casa, mi chiedo?

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Mi ricordo di “Principe Ranocchio”…da Colli Albani, mi pare…bel viaggio cavolo…e comunque, complimenti per il lavorone che stai facendo a casa…io dovrò decidermi una buona volta…e rimanere fuori scambiando mazzi di chiavi, credo sia più frustrante che dimenticarseli…ma che vuoi, può capitare…fortuna che hai quell’ “angelo custode” che ti ha risolto la cosa.

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perchè non mangi mai? 🙁 si riposa malissimo quando si ha fame… un abbraccio

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Melissa
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Il primo libro, "Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire" è del 2003. Ne sono seguiti altri tredici. Vive a Roma dove ha fondato la Piccola Agenzia Letteraria.
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Nata a Catania nel 1985. Oltre ai suoi libri ha scritto e interpretato i podcast Love Stories, di cui esistono tre stagioni, C’era una volta e c’è ancora e Pornazzi per Storielibere. Ha lavorato e lavora in televisione in qualità di opinionista. Collabora regolarmente con La Stampa, Tuttolibri e Specchio, dal 2011 ha una rubrica di astrologia sul settimanale Grazia. Nel 2020 ha fondato l’agenzia letteraria PAL / Piccola Agenzia Letteraria.

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