Il nuovo libro, che uscirà sabato prossimo, racconta il rapporto con la madre e la ricerca di dolcezza I “100 colpi di spazzola” hanno venduto due milioni e mezzo di copie e sono diventati a loro modo un caso

Dopo il celebre “diario” algidamente sporcaccione, intitolato 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire, un best seller da due milioni e mezzo di copie, è in programma per sabato prossimo l’uscita del nuovo libro di Melissa P. (ma visto che di questa giovanissima autrice non c’è più nulla di anonimo da tempo, chi sa poi perché non usare il cognome per esteso: Panarello suona male?).

S’intitola L’odore del tuo respiro (pagg. 140, euro 12), e naturalmente è ancora Fazi a pubblicarlo, con una prima tiratura di 250 mila copie, fremendo – s’immagina – per l’esito di questa nuova prova narrativa che concede pochissimo alle scorribande sessuali di una volta, peraltro di segno assai luttuoso, e molto invece all’antico ma sempreverde binomio “sex and love”, insomma a un erotismo più casalingo seppure coniugato ai più sublimi palpiti del cuore, e poi anche ai furori di una gelosia malatissima e alla fine a un certo perverso masochismo femminile, di natura decisamente ancestrale piuttosto che generazionale.

A rischio di essere considerati acidi o sentenziosi, incapaci di cogliere il talento di un’autrice che qualcuno ha un po’ frettolosamente catalogato “di culto”, mettiamola così: di Melissa, di questa diciannovenne senz’altro provvista di una sua autenticità sofferta e inquieta, piuttosto enigmatica per mescolare sapientemente candori e furbizie, insofferenze e presenzialismi, di questa bella ragazza timida e spregiudicata quello che soprattutto colpisce è l’ipertrofia dell’Io, un egocentrismo (prima umano e poi, quel che conta, letterario) così paradossale da risultare sconcertante.

Melissa ha il difetto, l’immaturità di prendersi terribilmente sul serio: mai una volta che venga sfiorata dalla leggerezza, dall’ironia, dal senso dell’umorismo. Quel che è peggio: tutto il pathos eternamente autoreferenziale che riversa nelle pagine, la sincerità del suo dolore – a tratti credibilissimo – si esprime spesso in forme linguistiche di un’ingenuità imbarazzante.

Quando scrive, ad esempio: “… sono stufa di darmi a pezzi. Ho bisogno di estendermi all’infinito”, “Catania è così, una puttana che non parla perché qualcuno la soffoca. Io sono un essere profondamente catanese”, “Non mi piace il Colosseo, sembra un maschio ormai maturo che vuole dimostrare a tutti la sua virilità, pur avendola persa. Non lo sopporto. Mi ha stancata”, “L’ultima cosa che deve fare un uomo è chiedermi cosa penso di lui. Non penso niente, che c’è da pensare. Se ti amo ti amo, se mi fai schifo mi fai schifo”, “Il luccicare delle stelle è un riverbero piatto e monotono, rispetto al luccicare dei suoi occhi”… O anche: “Con i capezzoli eretti, avrei voluto torturarlo”, frase di cui Melissa s’innamora a tal punto da ripeterla più volte in pochissime pagine. Una reiterazione che lascia sbigottito chi proprio non ce la fa a cogliere la superbia dell’immagine.

Il plot del breve “romanzo”, che continua a somigliare a un diario autobiografico anche se non ne ha la forma consueta, è piuttosto esile: Melissa ha lasciato la provincia di Catania per vivere a Roma, e qui finalmente incontra il vero agognato Principe azzurro abbandonando – s’intende – quella sua lugubre esistenza eternamente a luci rosse che ha provocato tanto scandalo, pruderie, moralismo, ma anche – prevedibilmente – una curiosa forma d’invidia.

Dunque Melissa s’innamora di Thomas (nome del suo noto, attuale compagno) e ne è ricambiata. Peccato che non vivano felici e contenti, essendo lei del tutto refrattaria alla serenità che a torto o a ragione si attribuisce a una relazione stabile, abitata com’è da furori, paure, tormenti e fantasmi persecutori. Sarà il demone della gelosia a spingerla verso una dimensione sempre più ossessiva, fino a una fuga dolorosa e claustrofobica e all’effettaccio finale di un tentativo di suicidio.

Sullo sfondo c’è l’infanzia di Melissa che sembra già così lontana, quel passato maniacale un po’ squallido, ma soprattutto la graduale conquista di un rapporto “nuovo” con la madre, il desiderio di recuperarne l’affettività, di riannodare pienamente i fili della comprensione e della dolcezza. E’ proprio questa mescolanza di sentimenti e anche di eros per il “ragazzo” adorato, ma non più della madre amatissima, è quest’aspetto un po’ confuso ma in qualche modo seducente a coinvolgere, a stuzzicare le fantasie meno prevedibili: in fondo ogni donna in cerca di un uomo che si prenda cura di lei, più che un amante o un compagno o un padre sta desiderando una madre incestuosa.

Melissa lo dice in questo modo: “… E quando abbiamo fatto l’amore non c’era più lui, ma c’era lui e c’eri anche tu. C’ero io, solo una comparsa. Tu e lui mi avete amata, squarciata e baciata. Vedevo il tuo naso, la sua bocca, le tue orecchie e i suoi occhi. Sentivo battere due cuori anziché uno e quando il mio corpo ha avuto un sussulto ho urlato “Ti amo tanto, tantissimo” e lo stavo dicendo anche a te.

“Tu e lui, custodi della mia anima e del mio corpo. Presuntuosamente affacciati sulla terrazza della mia vita, la osservate e la proteggete come io non vi ho chiesto, come io non pretendo.

“Il suo sudore aveva il sapore del tuo collo e il suo collo aveva il sapore di te. Poi più niente. Le palpebre si sono abbassate come il tendone dopo lo spettacolo e i respiri lievi e soddisfatti si sono intrecciati con gli odori della stanza. E tu sei rimasta”.

Sembra che sia il giovane Thomas, attraverso un suo paziente e delicatissimo maternage, a permettere alla fragile e ribelle Melissa la riscoperta tanto emozionante del ruolo di figlia, e forse ad averle consentito di scrivere L’odore del tuo respiro, un libro che – a differenza del primo, e comunque si voglia giudicarlo – non si presenta come un Viagra cartaceo.

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