«In una notte di aprile mi sono svegliata di soprassalto e ho avuto l’urgenza di scrivere la storia di una donna che partorisce, della funesta relazione con sua madre e della prepotente esigenza di non assomigliarle mai. Ho obbedito ai fantasmi del buio e l’ho scritto solo dopo il tramonto. Poi quando il romanzo che covavo è venuto alla luce, ho cominciato a comporlo anche di giorno e l’ho concluso». Nasce così Il primo dolore (La Nave di Teseo), romanzo sulla nascita come sigillo fondativo del nostro stare al mondo, nono libro di Melissa P. ma il primo ad essere firmato Melissa Panarello, nome e cognome per esteso: «Quello pseudonimo l’aveva scelto l’editore con i miei genitori. Ai tempi di Cento colpi di spazzolaero minorenne, oggi ho 33 anni, voglio essere tutta intera». Ed è giusto che sia così perché con questo romanzo (ri)nasce una scrittrice: trama potente, scrittura matura, personaggi scolpiti, emozionante e perturbante, Il primo dolore segna l’ingresso di Melissa Panarello nell’età adulta, anche letteraria.

Non c’è sesso in questo libro, lei ha messo al centro l’ambivalente sentimento che ci lega alla madre fin dal parto. Mi guardo intorno in questa sua luminosa casa, a San Lorenzo, a Roma, vedo un fidanzato, due gatti, nessun bambino: è un romanzo zero autobiografico?

«Era più fiction che vita vera ma poi, per una serie di congiunzioni astrali, è diventato realistico».

Mi spieghi meglio, dimenticavo che lei è anche esperta astrologa.

«Quando è stata decisa la data di pubblicazione del libro, ho scoperto di essere incinta del mio primo figlio, benvenuto ma non cercato. Vorrei dire che era scritto negli astri: sono Sagittario e quest’anno ho Giove trigono alla Luna, significa prosperità e una gravidanza lo è. Però la realtà è anche prosaica: è successo che ho cambiato cellulare, la app segna-mestruazioni non si è aggiornata, né io né Matteo (poeta ed editore, fidanzato e padre della creatura, ndr) ce ne siamo resi conto e voilà, è arrivato un figlio».

La vita scorre veloce, ma quando è difficile per lei lasciarsi alle spalle Melissa P.?

«Non voglio rinnegare né dimenticare il mio passato, anzi oggi come allora metto il corpo al centro del mio racconto. Prima ho esplorato l’eros, oggi la potenza di procreare. Il mio bestseller resta lì per sempre e a disposizione di chi lo scoprirà ancora negli anni per la prima volta. Io però sono cresciuta, sarò madre, la mia storia continua. Sa che ancora tante persone, in Italia e nel mondo, credono che Melissa P. sia un personaggio e non una persona in carne ed ossa?».

Essere stata un simbolo dell’erotismo le ha compromesso le relazioni private?

«Abbastanza. In pubblico ero condannata perché mi piaceva il sesso, in privato perché non ne facevo abbastanza. Ogni maschio si aspettava che fossi come lui mi aveva immaginato ma non ho mai voluto compiacere nessuno. Così più loro cercavano in me quell’icona, più andavo verso la direzione opposta, diventavo una suora ammazzando la mia natura che pure è sensuale e curiosa».

Un disastro insomma: fino a quando?

«L’ultima relazione è sempre quella giusta. Matteo mi ha dato una quadra, non si aspettava una pornostar, ama la Melissa che sono. Non è lui che mi ha salvata, ovviamente, sono io che sono cresciuta, ho deciso di non farmi determinare dagli uomini, quindi sono andata incontro a una relazione accogliente dove è anche arrivata questa gravidanza».

Che cosa è Il primo dolore?

«Quel profondo tormento fisico ed emotivo che provano insieme madre e figlio nel momento della nascita, una fatica sovraumana che dimentichiamo l’istante dopo in cui è accaduta ma che ci unisce per sempre. Lo so che esiste l’epidurale e nella società che rifugge il sintomo e idolatra l’analgesico, il dolore è considerato un male, eppure è la sofferenza che attraversiamo dalla notte dei tempi per vedere la prima luce. Posso dire che è un fatto speciale e unico? Credo che sia importante attraversarlo. Poi ognuna ha il diritto di fare come vuole. Nel libro la mia Rosa partorisce in casa, io andrò in clinica e se dovessi averne bisogno chiederò l’epidurale».

In questo libro lei racconta di Agata, la madre cattiva, e della sua figlia Rosa che per non ripetere il comportamento materno dentro cui è cresciuta – solitudine e crudeltà – fugge lontano: è la sua storia?

«Sono andata via da Catania perché il successo del libro mi ha travolto, non l’avevo progettato. Mia madre non era cattiva, semmai arrabbiata e frustrata, è ancora oggi una relazione complessa, la vedo pochissimo. Forse sarebbe stato più saggio per lei lavorare sul suo rancore ed evolversi ma non ne aveva gli strumenti. Negli anni l’ho compresa e ne ho avuto compassione. Non la giudico, non la odio e non ce l’ho più con lei».

Un dolore ricucito, un’emancipazione essenziale per essere la donna sorridente e calma che mi parla seduta dal divano accarezzando una gatta, libera di pensarsi adulta, felice e madre.

 

Ne Il primo dolore (La Nave di Teseo) due storie corrono parallele: da una parte c’è Agata, donna infelice e madre crudele di Rosa, dall’altra la protagonista con la sua disperata ricerca di non essere come colei che l’ha generata. Le vite delle due donne compongono una genealogia che si chiude con il parto di Rosa: attraversare il dolore di mettere al mondo la sua bambina diventa l’occasione per ripercorrere la sua vita da figlia, la relazione con la madre segnata dalla cattiveria, la capacità di dare la vita come possibilità di perdonare. Trama potente, scrittura matura, personaggi scolpiti, emozionante e perturbante, Il primo dolore è il nono romanzo di Melissa Panarello ma il primo a essere firmato con nome e cognome.

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