Mentre il ministro Brunetta insulta un gruppo di precari, cornuti e pure bastonati, i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo occupano il Teatro Valle la mattina del 14 giugno. A qualche mese di distanza dall’occupazione del cinema Metropolitan, i precari dello spettacolo organizzano una nuova azione contro i tagli alla cultura e, contestualmente, tentano di salvare il bellissimo teatro da un destino incerto. Il Valle passa nelle mani del Comune di Roma e non bisogna essere illuminati per immaginare cosa può significare questo passaggio.

La sera del 15 giugno, alla Fondazione Bellonci, vengono nominati i cinque finalisti al Premio Strega. Le terrazze e il piccolo appartamento borghese sudano carni umane e modesti alcolici, l’età media è settantacinque anni, nessuno parla di Brunetta, nessuno della vittoria al Referendum, nessuno delle centinaia di occupazioni e dimostrazioni che da almeno un anno stanno tentando di scuotere questo Paese mortificato, privato di ogni regalità e dignità.

Al Teatro Valle giovinezza, rabbia e impegno sono fuochi accesi che prima o poi qualcuno dovrà notare: perché riaccendono la speranza di ricominciare a creare, tornare a essere creature dotate di corpo e mente vivi. I lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo occupano, fanno casino, ballano, recitano, si confrontano, discutono e litigano, fanno la pace: muovono l’aria intorno a loro, spostano il vento, sono la macchina che muove il grande meccanismo di Vita/Morte/Vita. Qualcuno teme che l’esperienza al Valle si concluda come quella al Metropolitan, lasciando i dimostranti con nulla in mano come già successo. Qualcun altro, d’altra parte, non ha vergogna e utilizza lo spazio come passerella privata, spesso non conoscendo nemmeno il motivo per cui si trova lì. Eppure fa bene anche questo, va davvero bene così: una massa colorata e disciplinata, arrabbiata e anche modesta, che dichiara di voler unire la propria battaglia a quelle già esistenti di precari, studenti, lavoratori tutti, chiunque dalla crisi e dal malgoverno abbia ricevuto mortificazione prima intellettuale, poi economica.

E gli intellettuali stregoni cosa fanno, alla Fondazione Bellonci? Niente. Aspettano. Che qualcosa succeda. Qualcosa succeda mentre loro sono altrove. Un altrove inquietante. Dove sono? Cosa fanno? Chi sono? Non hanno la minima idea di cosa stia succedendo là fuori, eppure qualcuno è ancora convinto di essere il cervello umano dell’intero Paese. Ufficialmente riconosciuti come detentori della cultura italiana e unici interlocutori degni, gli Stregoni (non tanto gli scrittori, quanto gli editori, i critici e gli oscuri maghi addetti ai lavori), vivono in un tempo e in uno spazio che noi normali, noi comuni, non abitiamo. Perché siamo più giovani, perché siamo più svegli, perché il mondo non lo dividiamo per categorie, perché il mondo è una palletta di DAS a cui possiamo dare la forma che vogliamo. E ce le teniamo caro, l’ottimismo. Carissima la speranza, la voglia di cambiare, il desiderio che è un razzo cosmico che buca l’atmosfera, arriva fin su le stelle. (Non confondeteci con i TQ però).

Non è un caso che Andrea Camilleri fosse al Teatro Valle e non fra gli Stregoni. Non è un caso che, incontrato Sgarbi e sollecitato a venire a occupare, lui non sapesse nemmeno cosa stesse accadendo al Valle. Manco Repubblica.it aveva aperto quel giorno. E allora mi chiedo quanta e quale voce arrivi di questi meravigliosi ragazzi che davvero credono, guidati dalla passione per la vita e per il futuro, che scrivono il loro programma ogni giorno: quanta di questa vita arriva ai moribondi intellettuali della cultura italiana? Quanto dobbiamo gridare forte perché i vecchi coi cateteri ci stiano a sentire? Il riciclo generazionale, dov’è? Le Parche stanno lavorando lentamente, ma a un certo punto i fili marci verranno tagliati e allora si spera che rimarrà questa pazzesca gioia anche quando noi saremo i vecchi, dimenticandoci sempre ciò che ci hanno insegnato, partendo sempre dai nostri sogni.

 

 

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