17 anni. 27 anni. Due età di svolta. Due stagioni di cambiamento traumatico. Due morti, in un certo senso. La seconda arriva con un trasloco. La prima, con un libro. Quel libro. Sì, quello dei colpi di spazzola. Ma non corriamo troppo. Anzi, corriamo: ma indietro nel tempo, fino al 1985, in provincia di Catania. Melissa è nata da pochi giorni e la madre e le vicine di casa la battezzano con i soldi, non come vuole la tradizione si faccia con le femmine, e cioè con ago e filo. “A fare un piatto di pasta sono bravi tutti. È fare soldi che è difficile”. Intanto suo padre lotta contro la paura di tenere in braccio la neonata: “E se mi cade?”. Melissa a quattro anni e mezzo scrive poesie, anche se la madre le ha spiegato che le poetesse sono delle fallite perché non fanno una minchia tutto il giorno. Dopo un po’ i Panarello cambiano casa: si trasferiscono in un appartamento immenso, ci sono persino un parco privato e una grotta con una statua della Madonna. Nel parco un pupazzo della Mucca Carolina, di quelli da bar. Tu infili un gettone e il pupazzo oscilla avanti e indietro mentre una musica spaccatimpani gracchia dalla sua pancia. Qualche giorno dopo il loro arrivo il proprietario del bar vicino racconta alla madre di Melissa che due anni prima in quella casa si è suicidata un’intera famiglia. Nonno, padre, madre e tre figli, il più piccolo di sette anni. Li hanno trovati impiccati dentro la grotta…
Con un paradosso troppo evidente per non essere voluto, Melissa P. intitola La bugiarda il suo libro più vero. Si tratta in buona sostanza di una autobiografia, che ruota però attorno all’evento che ha monopolizzato l’adolescenza dell’autrice (e la segna ancora oggi, tanto che questo libro si può leggere come un lungo, dolente esorcismo). L’evento in questione ovviamente è la scrittura prima e la pubblicazione poi di 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire, il diario erotico che trasformò nel 2003 con 2 milioni di copie vendute una bellissima ragazzina siciliana in un fenomeno da baraccone. Certo, i “dietro le quinte” del circo Barnum romano sono molto gustosi (le ansanti masturbazioni telefoniche dell’editore di mezza età – non viene nominato, ma tutti sappiamo chi è – per esempio fanno molto ridere, o forse non fanno ridere per niente) e le avventure di questa Alice naif e provinciale nel mondo delle meraviglie editoriali e nei salotti televisivi a tanti anni di distanza aiutano a riflettere e suscitano salutari (auto)ironie. Ma il vero cuore del memoir è il rapporto di Melissa con suo padre e sua madre. Ferite autolesionistiche esposte con terribile candore, amore e rancore inestricabilmente uniti su uno sfondo che profuma di realismo magico in salsa piccolo-borghese e a tratti ricorda lo splendido Sarah di J.T. Leroy/Laura Albert (quella sì, come sappiamo, una bugiarda). Un libro spaventoso, commovente, emozionante. È ora di andare con coraggio oltre le ragioni di marketing editoriale e sancire dal prossimo romanzo anche graficamente che Melissa P., fenomeno mediatico, è morta. Ed è nata Melissa Panarello, scrittrice.

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